Per ragioni organizzative, le gite di quest'anno non sono state ancora pianificate.
Ogni anno, in prossimità dell'inizio della primavera, cominciano le nostre uscite naturalistiche e poco prima, realizziamo un programma completo per l'anno in corso.
Vi invitiamo, a tenervi sempre in contatto con questo sito per essere aggiornati su eventuali iniziative.
Nel frattempo, Vi invitiamo a voler visitare le gite da noi fatte finora e consultare le relative gallerie fotografiche.
Quando sono indicate 2 date si intende che la gita ha durata di 2 o più giorni
24/04/2005
MONTE TOMBA
Da Pederobba a Cavaso del Tomba
DESCRIZIONE
Due guerre sono passate su questi luoghi. La Grande Guerra, devastante, ha sconvolto il Monte Tomba, sbarramento naturale sul quale il nostro esercito aveva posto un cardine della battaglia di arresto, dopo la ritirata di Caporetto, e sul quale si è accanito l’esercito austro-ungarico per aprirsi la via verso la pianura. Su questo monte il giovane tenente Rommel ha condotto il battaglione da montagna Wuttemberg. Qui faceva la spola, salendo da Alano, il portaordini Senta May, una giovane donna che sotto vesti e nome maschile, Wolf Hauler, venne arruolata e riuscì per lungo tempo a nascondere la sua vera identità. L’altra guerra è stata quella risorgimentale del 1848 che ha avuto un episodio di eroica resistenza sul Colle di San Sebastiano, situato sul costone che da Pedorobba sale al Monfenera.
La nostra gita, partendo da Pederobba, unirà questi due luoghi storici con un sentiero, quello dei “Conti Onigo”, che riporta alla memoria altre storie, fauste e funeste, come il delitto della Contessa Onigo. La primavera ormai avviata ci regalerà i suoi tepori, i suoi primi fiori e profumi, l’aria nuova che ci rende lieti di stare assieme perché ormai l’inverno è passato, è finita l’attesa e chissà cosa faremo, dove andremo. Ancora una volta la vita si rinnova e si rinnovano le nostre speranze. Anche le tracce della guerra ci dicono che il peggio è passato: godiamo e teniamo come un bene prezioso la pace dei nostri giorni, delle nostre case, dei nostri luoghi e … dei nostri monti. Dal Monfenera e dal Tomba potremo guardare oltre, sulle cime che fanno capolino dalla Val Belluna oppure giù verso il mare, ampi spazi verso i quali ci piace andare in libertà. Per scendere a Cavaso ci lasceremo avvolgere dal bosco che ci regalerà altre sensazioni fino al ritorno.
IL PERCORSO
Partenza da Pederobba: entrare in paese, parcheggio davanti alle scuole (bandiere), di fronte allo storico edificio delle Opere Pie (cartelli), poco prima della stradina che sale all’ospedale. Si passa sotto la volta dell’edificio, entrando nella corte interna (sede del Gruppo Alpini) aperta verso la montagna. In fondo, dove inizia il bosco, in un sacello protetto da grandi alberi, riposa la memoria del conte Guglielmo Onigo e di Teodolinda, personaggio di triste fama e triste fine. Inizia la salita sul sentiero n.221 “dei Conti Onigo” recentemente sistemato nella parte iniziale, per raggiungere un bel castagneto (rinomati sono i marroni del Monfenera!) con piante antiche, scolpite come mitici ciclopi. Si interseca più volte la strada asfaltata che ora abbandoniamo per raggiungere la Trattoria San Bastian e, subito dopo, il Colle con la chiesetta di San Sebastiano. Visita alla chiesetta e alla galleria, recentemente ripristinata, che fora da parte a parte la montagna e si affaccia sul precipizio che guarda la stretta di Quero (postazione d’artiglieria nella Grande Guerra). La salita riprende aggirando La Castella. La sella successiva è storicamente importante perché qui ci sono i resti di un trincerone italiano e questo è stato il punto di massima penetrazione dell’offensiva austriaca nella battaglia di arresto (novembre 1917), strenuamente difesa con combattimenti corpo a corpo, alla baionetta. Seguendo l’elettrodotto si sale decisamente sulla sommità orientale del Monfenera: Busa dei Bai, quota m.623, il “saliente” del fronte; recente fabbricato per ricovero di pecore. Il panorama si apre sulla conca di Alano-Quero e sulle cime settentrionali del Massiccio del Grappa (Monte Santo – Monte Tomatico). Ora si segue la dorsale lungo la quale nel periodo 22 novembre – 30 dicembre 1917 i due fronti nemici correvano assai vicini. Dopo la battaglia del 30 dicembre l’intera dorsale venne definitivamente occupata dai francesi “Cacciatori delle Alpi” ed il fronte austriaco fu arretrato nel fondovalle di Alano (torrente Ornic). Osteria di Monfenera (sosta) e, con lievi ondulazioni, Monte Tomba. Suggestiva la corona dei pennoni di bandiera (una per ogni nazione impegnata nella guerra). Da ricordare che tra le due sommità del Monte Tomba, fino alla battaglia del 30 dicembre, correva la linea di demarcazione tra i due fronti. Il crinale è libero e lo sguardo spazia dalla pianura alle dolomiti. Malga Miet e l’osteria; inizio della discesa con sentiero n.212. Scendendo, sosta suggestiva a Le Tombe con bella apertura sui paesi, sui colli Asolani, sul Piave che serpeggia evitando il Montello e sulla vasta pianura veneta. Strada nel bosco e poi sentiero sassoso che ridiventa strada sulla dritta costola fin sul colle della Bastìa (ruderi di antica torre di chissà quale epoca). Più sotto, la semplice e austera chiesetta di San Giorgio, il giorno dopo la sua festa. Ormai siamo a valle, borgate alte di Cavaso del Tomba, più in là si vede, bianco e possente, il Tempio del Canova. Ma questa è un’altra storia e …la suggestione per la partenza di una nuova gita. >
Immagini a commento
SCHEDA INFORMATIVA
partenza
Ore 8.00 da Pieve di Soligo - Piazza Vittorio Emanuele II
Il Colle di San Sebastiano è legato a un fatto d’arme del Risorgimento italiano per contrastare l’avanzata dell’esercito austriaco. Nella primavera del 1848, durante la prima guerra d’indipendenza, il generale austriaco Lavant Nugent si era messo in marcia da Gorizia dirigendosi verso il Piave per portare aiuto a Radetzky rintanato nel Quadrilatero. A difesa del Piave, per ostacolare la marcia del Nugent, Carlo Alberto, re di Sardegna, inviò l’esercito pontificio alla guida del generale Durando. Allora il generale Nugent deviò il proprio esercito verso Belluno e, senza colpo ferire, arrivò a Feltre con l’intento di aggirare gli avversari. Nel frattempo era arrivato a Montebelluna il generale Ferrari con un piccolo esercito per dar man forte ai dragoni pontifici, lasciando però in completo abbandono il paese di Pederobba. Rimasero pochi soldati dell’esercito pontificio.
Fu il conte Guglielmo Onigo, patriota convinto, che il 7 maggio con un drappello di volontari si portò sui pressi della chiesa di San Giacomo delle Brentelle, lungo la strada feltrina, e fece scavare una trincea a difesa del suolo pederobbese. I volontari lavorarono tutta la notte per terminare la trincea. Il mattino dopo, l’8 maggio, uomini e donne di Pederobba, ormai lasciati soli dalle truppe del generale Durando, armati di fucili, di sassi e di pietre, salirono sulla chiesetta di San Sebastiano per attendere l’arrivo dell’esercito austriaco.
L’avanguardia austriaca arrivò. A dare l’allarme fu Florinda Putton, una giovane pederobbese che si mise a suonare la campanella della chiesetta di San Sebastiano. La battaglia era cominciata. L’esercito austriaco fu bloccato davanti alla trincea di San Giacomo che tagliava la strada feltrina. Dall’alto del costone della chiesetta i volontari facevano piovere sassi, pietre e palle di fucile per fermare l’avanzata austriaca.
Il generale Carlo Culoz, subalterno del Nugent, vista la situazione critica delle sue truppe, ordinò ai soldati di aggirare il nemico salendo sul crinale del Monfenera dal versante di Alano. Nello stesso racconto degli austriaci si legge: “Il giorno 8, a mezzogiorno, il capitano Dangel ebbe l’ordine di avanzare con la 4^ divisione sulla strada verso Pederobba per impadronirsi di una cappella che si trovava su una roccia e di un mulino che si trovava vicino alla strada. La cappella era occupata da truppe pontificie e queste aprirono un vivace, ma efficace fuoco sulla divisione che avanzava nella valle. Quando però il sottotenente Holm, che si era arrampicato sull’altura con un plotone della 7^ Compagnia, apparve improvvisamente sul fianco sinistro del nemico, questo abbandonò l’altura e si ritirò. Le forze e la preparazione dell’esercito austriaco erano tali che costrinsero i patrioti alla ritirata verso il paese non senza prima sparare gli ultimi colpi verso gli inseguitori. Tra i pederobbesi c’erano anche due Stramare, zio e nipote, i quali, giunti alla propria casa e nascoste le armi, furono presi e immediatamente fucilati. Poi gli austriaci saccheggiarono il paese devastando e rubando quel che c’era da prendere.”
E’ dunque legato ai due valorosi Stramare il ricordo dell’epica battaglia che interessò il Colle di San Sebastiano l’8 maggio 1848. Fu infatti “da quel bieco ciglione – scrive il Paladini – che l’8 maggio 1848, ruinando massi sulle truppe del Nugent irrompenti dalla stretta di Fener, ne interruppero un tratto la marcia e fu lassù che raggiunti dai soldati del Culoz, salitovi pei boschi di Alano, furono cruentemente trucidati i due Stramare alla cui memoria sacra fu eretta la colonna al bivio del Molinetto. Vi si legge: “Ai martiri Stramare Giacomo, Stramare Giuseppe caduti in difesa della patria a San Sebastiano l’8 maggio 1848, Pederobba pose 20 settembre 1895.” Il teatro di battaglia si sposterà poi a Onigo e Cornuda, dove i dragoni pontifici si scontreranno con l’avanguardia delle truppe austriache.
IL COLLE DI SAN SEBASTIANO NELLA PRIMA GUERRA MONDIALE
Il capitolo più triste e drammatico che conobbe la bella chiesetta di San. Sebastiano fu l’infuocato bombardamento dell’artiglieria nemica durante la battaglia di arresto del Grappa nella prima guerra mondiale: sotto i colpi dei cannoni e delle granate l’edificio, già segnato dalle rughe del tempo, crollò nel novembre del 1917 lasciando solo un mucchio di macerie. Sulle rovine bombardate della chiesetta furono piazzati per un certo periodo alcuni cannoni italiani, mentre tutt’intorno venivano scavate trincee di collegamento, che in parte erano state prodotte dalle granate e in parte dalla mano dell’uomo. Così cruente e feroci furono le battaglie, che i bagliori del fuoco lasciato dalle cannoni e dalle bombarde si vedeva dalla pianura trevigiana. “Quasi non si distinguono i colpi, è un rumoreggiare confuso, continuo furente, come il rumoreggiare del tuono”. Tante e tali furono le granate lasciate cadere sul terreno innevato che i testimoni parlarono di neve nera del Monfenera.
A testimonianza di quelle eroiche battaglie sono rimaste le trincee che corrono attorno alla chiesetta di S. Sebastiano. Gallerie e camminamenti sono stati riportati alla luce per volontà del Gruppo Alpini di Pederobba, in collaborazione con l’A.N.A. e la Protezione Civile di Treviso. L’opera di pulizia e di ripristino delle gallerie ha permesso di realizzare un itinerario storico che offre al visitatore la possibilità di ripercorrere i camminamenti scavati dai nostri Alpini in difesa della patria.
IL MONTE TOMBA, CAMPO DI BATTAGLIA NELLA GRANDE GUERRRA
"Il monte non è altro che un vulcano in azione: fumo e fiamme ... una tempesta di piombo si scatena tutt'intorno." (dal racconto di un soldato, dicembre 1917)
Nel novembre 1917 il Monte Tomba fu scenario di infernali bombardamenti. La fanteria austro-tedesca riuscì ad occuparne la cresta, grazie all'impeto del giovane tenente Erwin Rommel che nel secondo conflitto mondiale combatterà in Africa meritandosi il soprannone di "Volpe del Deserto". Un mese dopo il costone fu ripreso dai francesi, nostri alleati, i "Chasseurs des Alpes", a prezzo di grandi sacrifici. In un paesaggio di verdi distese sono ben distinguibili i crateri di scoppio delle bombe ed i resti dei trinceramenti.
LA CHIESETTA DI SAN SEBASTIANO
Furono probabilmente le ripetute ondate di peste che colpirono la pedemontana del Grappa dopo il 1348 a costringere i pederobbesi a rivolgersi a San Sebastiano, un santo invocato per scampare alla terribile epidemia, la quale si ripresentò nel 1360 e un secolo dopo, nel 1466, decimando la popolazione. Nato nel 256 a Narbona da genitori originari del milanese, Sebastiano si recò a Roma come funzionario imperiale. Soldato d’alto rango, viene perseguitato a Roma, perché cristiano, ai tempi di Diocleziano nel 300 circa. Ferito dalle frecce degli arcieri per ordine dell’imperatore, morì martire. Ed è l’arma del supplizio, le frecce che saettano veloci contro il suo corpo, a diventare simbolo della peste nell’Europa cristiana del tempo. L’iconografia lo ritrae nel martirio, bersagliato da frecce e proprio per le sue piaghe fu invocato come protettore degli appestati. La chiesa di S. Sebastiano fu eretta quindi, in seguito a queste continue epidemie di peste, probabilmente nel XV secolo. Il culto cresce e si alimenta di anno in anno, tanto che nel 1562 anche a Onigo una famiglia fa erigere un altare a San Sebastiano, mentre nella vicina pieve di Cavaso è conservata una pala di Bassano il Vecchio che raffigura la Madonna coi Santi Rocco e Sebastiano ai piedi dei quali sono imploranti uomini e donne infetti dal morbo pestilenziale. La presenza della chiesetta è attestata dal 1470 come luogo sacro di devozione, dove dimoravamo due romiti. Al piccolo oratorio, che godeva di una piccola rendita di tre campi, venne affidato un prete sul finire del ‘400. La cappella campestre è citata anche nella prima visita pastorale del 1467, assieme agli oratori di San Giacomo delle Brentelle, di San Martino, di Santa Fosca e di Santa Margherita. Le questue dei pederobbesi, che si erano affidati al santo martire, permisero di conservare intatta la chiesetta nel corso dei secoli, permettendo i continui restauri di cui aveva bisogno. Tra i tanti oratori che aveva Pederobba, quello di S. Sebastiano era tenuto in miglior stato alla metà del XVI secolo. La cura e la devozione verso la piccola cappella crebbe dopo il Concilio di Trento, prova ne sia che qui si celebrava una messa ogni mese fin dal 1625 e, poco dopo, sul finire del secolo, la cappella venne annessa, assieme agli altri oratori, alla chiesa pievana di Pederobba. La pietà popolare verso S. Sebastiano, ormai invocato come un vero santo taumaturgo, non venne mai meno perché le epidemie di peste, purtroppo, si ripresentavano con intensità più o meno maggiore fino all’800. Il morbo infatti colpì nuovamente nel 1526, nel 1542, nel 1620 e ancora nel 1817 “furono invase queste terre da una nuova pestilenza, che tifo appellavasi”. La bianca chiesetta, dal campaniletto rosso e aguzzo, come la definì il Paladini, fu però distrutta dagli intensi bombardamenti della Grande Guerra. Più granate colpirono l’edificio nell’inverno del ’17 allorché si scatenò una tempesta di fuoco sul piccolo colle di San Sebastiano. La miseria e la povertà che seguirono al periodo bellico non consentirono ai pederobbese, emigrati in massa dalla loro terra, di ricostruire tutte le cappelle campestri. Prima di tutto dovevano essere ricostruite le case e la chiesa parrocchiale, poi si poteva pensare alle cappelle minori, fra le quali quella di S. Sebastiano. Pertanto ancora per diversi anni la chiesa rimane diroccata. La chiesetta attuale, che voleva rappresentare il tempio ai caduti di tutte le guerre, fu costruita oltre trent’anni fa. Progettata dall’arch. Giacomo Bresolin di Pederobba, la chiesa fu ricostruita con le offerte della popolazione pederobbese. Alla posa della prima pietra, avvenuta nel settembre del 1967, partecipò l’on. Domenico Sartor. L’inaugurazione dell’oratorio di S. Sebastiano avvenne il 21 settembre 1969. Il parroco di Pederobba, don Enrico Salmaso, durante la messa, rievocando la storia del tempietto, ricordò i caduti delle guerre, soprattutto quelli della prima che intrinsero di sangue le zolle di queste alture.
NOTE POETICHE
IL COLLE DI S. SEBASTIANO - Michelangelo Codemo, 1823
Da quell’eccelso colle signoreggiasi un vastissimo piano a guisa di cerchio disposto, che nella settentrional parte è rinchiuso da montagne altissime, che sembrano col cielo le merlate loro cime confondere. Gli oscuri valloni, che ne intersecano il dorso, ed i nugoli raggruppantisi, presentano un aspetto d’orrida bellezza, cui nulla si agguaglia. Continuano esse fino all’oriente, dove varie maniere di monticelli qua e là con varia confusione dispersi a loro sottentrano. Antichissimo e venerando bosco si stende verso la plaga del mezzogiorno, al terminar del quale una doppia catena di colline ti scorge fino all’occaso, e qui altri monti dirupati ed alpestri ti riconducono al settentrione. Ampio e ridente anfiteatro sì chiuso che il digradar de’ colli tratto tratto non lasci i tuoi sguardi vagare fino alla spaziosa pianura, ove in uno sfumato orizzonte si perde la vista.”
PEDEROBBA - L.Paladini, 1902
“A far bella Pederobba basterebbe il solo San Sebastiano: un lacerto di montagne, assai pittoresco, nel quale si contemperano l’espressioni della forza e della grazia, ove dall’amenità ridente si passa all’austerità selvatica, indi alle vertigini dell’abisso. C’è sulla cima un casolare, all’ombra amica di due piante indecise e sfumate, che dice tutta la poesia delle altitudini solitarie. E la chiesola bianca che sorride da lontano al passeggero, da qualunque parte provenga, col campaniletto rosso e aguzzo, manda le voci possenti della fede e della patria”
Nota: tutte le informazioni storiche sono state riportate, con qualche sintesi, dai pannelli informativi installati lungo il percorso. (a cura di Stefano Sanzovo)